La Cassazione Penale, Sez. 4, con la sentenza n. 13575 del 5 maggio 2020, si pronuncia sul tema della ricostruzione dell’interesse e del vantaggio dell’ente nel caso di reati colposi di evento in violazione della normativa a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nonchè in merito all’autonomia della responsabilità amministrativa d’impresa di cui al D. Lgs. 231/2001 rispetto alla responsabilità della persona fisica che ha materialmente commesso il fatto.
Il Tribunale di Venezia in primo grado e la Corte d’Appello di Venezia in secondo grado dichiaravano la Società Alfa responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies, comma 3, del D. Lgs. 231/2001 e la condannavano al pagamento della sanzione di Euro 30.000,00, con la sanzione interdittiva del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione per la durata di mesi tre.
L’amministratore unico della società veniva condannato alla pena di mesi tre di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile per il reato di lesioni colpose, per aver cagionato al dipendente Caio, avente mansioni di attrezzista, un trauma alla mano sinistra con ferite ed ustioni.
In particolare, a seguito del blocco di una presa ad iniezione, dovuto all’intasamento di uno degli iniettori con del materiale plastico, l’operaio, senza indossare idonei guanti ad alta protezione termica, senza attendere che la camera calda si raffreddasse prima di procedere e con l’ausilio di una bacchetta di rame, rimuoveva la plastica che ostruiva l’iniettore; durante tali operazioni un getto di plastica liquida lo colpiva alla mano sinistra, cagionandogli le lesioni.
La Corte d’Appello ha chiarito che l’infortunio non era dovuto soltanto al mancato utilizzo dei guanti, ma anche ad una serie di gravi carenze riscontrate a carico del datore di lavoro in materia di sicurezza, tra le quali principalmente l’omessa adeguata formazione dei lavoratori, l’assenza della scheda – stampo, l’omessa indicazione nel Documento di Valutazione dei Rischi di tale rischio specifico e delle modalità per farvi fronte.
La Corte ha pertanto addebitato al datore di lavoro il comportamento non corretto assunto dal lavoratore, perché conseguente alle carenze informative relativamente alla dotazione necessaria e alle modalità di intervento in caso di intoppi al normale processo produttivo.
Il rischio della lavorazione non derivava infatti dalla posizione avanzata o arretrata della testa della macchina ma dal comportamento del lavoratore che, come i suoi colleghi, per non interrompere il ritmo della lavorazione non attendeva il raffreddamento della macchina. L’azienda, infatti, non aveva mai prospettato agli operai tale eventualità e non aveva fornito spiegazioni relative alla tecnica di rimozione dei tappi di plastica che ostruivano l’iniettore. La prassi seguita consisteva nel non interrompere il ciclo produttivo, senza attendere il raffreddamento per venti o trenta minuti nel caso in cui si fosse verificato l’inconveniente del tappo.
Le ragioni della prevedibilità e della prevenibilità dell’evento da parte del datore di lavoro sono state individuate nei pregressi analoghi incidenti verificatisi, nelle plurime carenze in tema di sicurezza dei lavoratori circa la dotazione dei guanti ad alta protezione termica e del libretto di istruzione del macchinario, nella carenza di formazione e informazione dei lavoratori, nell’aggiornamento del DVR attuato solo in seguito all’accadimento in esame e nell’omesso controllo circa la prassi scorretta seguita dagli operai.
La Corte di appello ha confermato anche la condanna della Società Alfa per avere risparmiato il denaro necessario all’acquisto di guanti di protezione, non aver curato la formazione dei lavoratori mediante appositi corsi ed essersi avvantaggiata per l’imposizione di ritmi di lavoro, che prescindevano dalla messa in sicurezza della macchina, tramite il raffreddamento della stessa, prima dell’intervento riparatore, in tal modo conseguendo, a scapito della sicurezza dei lavoratori, un aumento della produttività.
La Cassazione, adita dalla società e dall’amministratore unico della stessa, annulla, senza rinvio, nei confronti dell’imputato, la sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione e conferma invece la sentenza di condanna nei confronti della società per l’adozione di un modello organizzativo insufficiente rispetto alle finalità di prevenzione e protezione contro i rischi derivanti dalla rimozione della plastica e per il vantaggio economico consistito in un risparmio di spesa per il mancato acquisto dei guanti di protezione nonché maggior guadagno determinato dal non rallentamento della produzione dovuta all’attesa del raffreddamento del materiale plastico nei casi frequenti (3 o 4 volte per turno di lavoro) di intasamento delle presse.
In tema di responsabilità degli enti, infatti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), del D. Lgs. 231/2001, il giudice deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso, accertamento che non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato.